La figura del santo di Assisi, in questi giorni bui della guerra che pervade sempre più non solo i luoghi geografici ma anche le nostre menti, è luminosa testimonianza e appello di pace.
Non è una pace idilliaca e astratto, quella di Francesco: egli conosceva la violenza e la brutalità della guerra, delle crociate, delle lotte intestine tra villaggi, signorie e contrade. Nei litigiosi comuni medievali infatti si consumavano di continuo sanguinose guerre e faide; lo stesso Francesco ventenne avevo partecipato, come ricordiamo, alla disastrosa battaglia di Collestrada in cui gli assisani furono sconfitti dai perugini, e venne rinchiuso per quasi un anno nelle durissime prigioni di quella città.… lì iniziò il suo cammino di conversione…
E iniziò anche a prendere forma la sua visione concreta, impegnativa, reale e radicata in Dio della pace tra gli uomini che, come dice il Vangelo, è beatitudine degli “operatori di pace“. Ecco qualche episodio dalla sua vita.
Francesco, saputo di un aspro dissidio fra il vescovo e il podestà, si adoperò per aggiungere una strofa al Cantico di frate Sole: «Laudato si, mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore e sostengono infirmitate e tribulatione. Beati quelli kel’l sosterrano en pace, ka da te, Altissimo, saranno coronati». Invitò il vescovo e il podestà, e tutti i cittadini a radunarsi nel chiostro del palazzo episcopale e vi mandò i suoi frati a cantare il Cantico, completato dalla nuova strofa della pace e del perdono.
Al termine il podestà, in lacrime, gettandosi ai piedi del vescovo, disse: «Per amore del Signore nostro Gesù Cristo e del suo servo Francesco, eccomi pronto a soddisfarvi del tutto, come a voi piacerà». A sua volta il vescovo riconobbe pubblicamente di essere portato all’ira, si accusò di mancanza di umiltà e chiese perdono. «E così i due si abbracciarono e baciarono con molta cordialità ed affetto».
La pace di Francesco si basava, prima che su un accordo politico, su un rivolgimento interiore, sul riconoscere i propri torti e aprirsi verso il prossimo.
«Il Signore mi rivelò che dicessi questo saluto: Il Signore ti dia pace», così scrive Francesco nel Testamento. Egli esorta i suoi frati a portare a tutti questo saluto come annuncio e benedizione.
Tommaso da Celano riferisce: «In ogni suo sermone, prima di comunicare la parola di Dio al popolo, augurava la pace. In questo modo otteneva spesso, con la grazia del Signore, di indurre i nemici della pace e della propria salvezza, a diventare essi stessi figli della pace e desiderosi della salvezza eterna».
L’annuncio evangelico alla conversione si coniuga con l’invito alla pace che nasce dall’umiltà e dall’unione con Dio: «La pace che annunziate con la bocca, abbiatela ancor più copiosa nei vostri cuori. Non provocate nessuno all’ira o allo scandalo, ma tutti siano attirati alla pace, alla bontà, alla concordia dalla vostra mitezza. Questa è la nostra vocazione: curare le ferite, fasciare le fratture, richiamare gli smarriti».
Tommaso da Celano scrive; «il valorosissimo soldato di Cristo, Francesco, passava per città e villaggi annunciando il regno dei cieli, predicando la pace, insegnando la via della salvezza e la penitenza in remissione dei peccati». Tommaso da Spalato, che vide Francesco predicare a Bologna il 15 agosto 1222, narra che «tutta la sostanza delle sue parole mirava a spegnere le inimicizie e a gettare le fondamenta di nuovi patti di pace. Portava un abito sudicio; la persona era spregevole, la faccia senza bellezza. Eppure Dio conferì alle sue parole tale efficacia che molte famiglie signorili, tra le quali il furore irridibile di inveterate inimicizie era divampato fino allo spargimento di tanto sangue, erano piegate a consigli di pace».
Un ultimo aspetto unisce in San Francesco d’Assisi la pace alla Povertà. Francesco aveva compreso che la ricchezze, l’avidità di potere e di possesso, si trasformano ben presto in guerra fratricida, in armamenti contro gli altri uomini.
Ecco le parole e la vita di Francesco.
Una volta il vescovo di Assisi, Guido I, ebbe a dire a Francesco: «La vostra vita mi sembra dura e aspra, poiché non possedete nulla a questo mondo». Rispose il santo: «Messere, se avessimo dei beni, dovremmo disporre anche di armi per difenderci. È dalla ricchezza che provengono questioni e liti, e così viene impedito in molte maniere tanto l’amore di Dio quanto l’amore del prossimo. Per questo non vogliamo possedere alcun bene materiale a questo mondo». Francesco considerava le armi una tale sciagura da sconsigliare addirittura il possesso di ogni bene pur di non incorrere nel rischio di doversi armare. In una bellissima pagina del Sacro patto con Madonna Povertà, alla richiesta della bella dama di avere un coltello per il pranzo i frati rispondono: «Non abbiamo il fabbro che ci faccia spade». Praticando la radicale povertà evangelica non coltivano nemmeno un orticello, perché non vogliono possedere, così come rifiutano anche una piccola lama perché potrebbe trasformarsi in arma.
Non è forse vero che dalla ricchezza e dalla sete di potere e di conquista muovono le guerre che sono sotto i nostri occhi, in Ucraina tanto quanto in Medioriente?
E che cosa direbbe Francesco delle terribili armi super tecnologiche che non riusciamo a smettere di produrre, comprare e vendere?
L’insegnamento del nostro Santo patrono d’Italia e la sua luminosa testimonianza ci additano una strada diversa e possibile per costruire la pacificazione interiore e la casa comune.
Margherita Giua
Presidente MEIC Bergamo