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Assistenti dell'Azione Cattolica della diocesi di Bergamo
7 Marzo 2024
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AC, tavola condivisa della Fede

L’assemblea diocesana non solo è stata l’occasione per il rinnovo delle cariche associative, ma anche occasione per salutare e accogliere vecchi e nuovi assistenti

LA FORTUNA DELL’AC

Quasi sette anni in meno di un minuto: è il tempo che mi è servito per trasferire sulla memoria esterna di don Luca “T”(esta) tutte le cartelle con i files di questi anni in AC e ancora meno ha impiegato il pc per quelle del settore giovani sulla chiavetta di don Luca “C”(onti). Confesso che mi ha fatto un effetto strano, perché non è invece per niente facile fare sintesi in me stesso e consegnare ad altri quanto ho vissuto in questa esperienza intensa. Credo che quando si tratta di pagine di vita condivisa e di servizio ecclesiale non sia possibile né adatto fare “bilanci” (quelli si fanno nelle aziende), ma sia certamente importante fare tesoro di quanto si è vissuto e ricevuto. Le sintesi però chiedono “un tempo lungo” perché è spesso dopo diversi mesi e anni che ci si accorge del segno che alcuni incontri e ambienti hanno lasciato in noi, anzi sarebbe meglio dire che hanno “formato” in noi. Mi ritrovo appieno infatti in questa parola così cara alla tradizione associativa che riassume il grande dono che ho ricevuto: l’AC è stata anche per me prete una scuola di formazione, anzi come ambiziosamente titola il progetto formativo di “con-formazione”.

Lo è stato nella condivisione della fede.

Non è mai scontato forse soprattutto oggi poter condividere con adulti, spesso più grandi di te, ma anche con giovani e ragazzi, la propria fede. E se io ho spesso, a lungo e volentieri spezzato la Parola e il Pane, ho potuto nutrirmi abbondantemente della fede di tanti. L’abbondanza di cibo che ha contraddistinto i momenti di convivialità è per me simbolo di questo cibo nutriente che ho gustato commosso nella preghiera granitica dei più anziani, nella semplicità dei più piccoli, nella freschezza provocante dei giovani e nella fraternità degli adulti.

Prego perché l’AC continui ad essere scuola di preghiera e tavola condivisa della fede, tra laici e con i preti. Perché così si sperimenta la Sua presenza.

Lo è stato nella condivisione della fraternità.

In AC mi sono sentito stimato e voluto bene, come uomo e come prete. E anche questo non è mai né scontato né dovuto. Se io ho provato a offrire l’orecchio dell’ascolto a molti (mai quanto avrei voluto), ho ricevuto sempre un’attenzione piena di simpatia e di delicato interesse che mi ha accolto anche nei lati più “montagnini” del mio carattere. Sono stato provocato a temere e fuggire meno i conflitti che sono inevitabili nel cammino della fraternità e a curare la comunione tra persone e settori. Prego perché l’AC possa custodire e alimentare questo senso di accoglienza, a far circolare il bene tra le persone, a costruire relazioni fraterne. Perché così cresce la Chiesa.

Lo è stato nel cammino associativo.

Se con i giovani ho gustato la bellezza di scommettere su piccoli germogli e ho potuto godere della vitalità e freschezza del loro stare insieme (“il mio polmone associativo”), con gli adulti ho condiviso la fatica bella e impegnativa di trovare orizzonti per rinnovare le forme dell’appartenenza associativa. Camminare insieme non è per niente facile. Chi mi conosce sa che in montagna ci vado con poche persone scelte per la “sintonia del passo”, ma insieme non può essere così. Soprattutto negli ultimi anni ho faticato “a tirare” e forse in certi momenti ho fatto fare fatica “tirando il collo”; ho patito la lentezza dei passi e ho fatto soffrire la mia insofferenza per le indecisioni e il “girare a vuoto”. È vero: non siamo stati fermi e alcune scelte anche costose le abbiamo fatte, ma credo che soprattutto l’anima adulta dell’AC debba essere più lucida nel leggere la realtà, più ferma nel perseguire pochi ed essenziali obiettivi, più coraggiosa nell’osare qualche sentiero di reale novità. La Chiesa patisce anche per mancanza di immaginazione: è necessario dare più ossigeno ai segni di novità e vincere la paura di alleggerirsi. Prego perché lo Spirito continui a soffiare sulle braci per accendere passioni e bruciare timori. Perché così si serve il Regno. 

Quando ero giovane padre spirituale in seminario nel breviario tenevo di anno in anno i nomi dei seminaristi per portarli nella preghiera. Ora questo esercizio diventa impossibile da proseguire non solo per la mia proverbiale incapacità a imparare i nomi, ma perché la mia vita è, per grazia, davvero “affollata” di volti. Il dono graditissimo dell’icona me li renderà presenti tutti insieme e mi permetterà di ricordare e affidare a Lui ciascuno con gratitudine e affetto.

Mi ripeto spesso, e anche questo non è scontato, di essere un prete molto fortunato e anche l’AC, è stata tra le ragioni di questa “fortuna”. L’augurio è che possa continuare ad esserlo adesso per “i don Luca” e per i tanti, preti e laici, che ancora la incontreranno sul loro cammino.

Don Alberto


PROFONDAMENTE GRATO

A quali condizioni l’appartenenza associativa può qualificare l’appartenenza ecclesiale senza schiacciarla o appiattirsi su di essa?

Confesso che questa domanda mi è balenata fin da subito, quando l’11 settembre 2019 mi fu proposto dal Vescovo di intraprendere questa avventura.

Non conoscevo nulla dell’Azione Cattolica se non i racconti e la passione di don Silvano, padre spirituale di noi all’epoca seminaristi, e un convegno nazionale cui lo stesso mi invitò a partecipare (fu lì che comprai la mitica bandiera, senza sapere che poi da vessillo sarebbe per me diventata motivo di servizio e passione).

Una proposta accolta con gioia e trepidazione, collaterale al primo servizio all’Oratorio dell’Immacolata. Un cammino in cui ho imparato a conoscere e amare di più la Chiesa, attraverso l’incontro con persone in gamba, capaci di credere alla presenza del Signore all’opera nella vita di ciascuno e nella sua Chiesa, così efficacemente rappresentata in AC.

Un servizio che mi ha posto volutamente ai margini, per meglio guardare, sognare, riposare.

Un servizio in cui ho potuto gustare una reale corresponsabilità nell’annuncio del Vangelo di Gesù.

Un servizio anche difficile, sia per l’epidemia, sia per la stagione ecclesiale stessa che stiamo vivendo, così incerta e al tempo stesso avvincente.

Quattro anni dei quali sono profondamente grato, anche per avermi dato la possibilità di conoscere preti di altre diocesi coi quali sono nati buoni legami. Senza dimenticare don Renzo, che mi ha accompagnato nei primi passi come un papà, don Alberto, don Luca Testa e da ultimo don Luca Conti, cui passo il testimone.

Insieme a loro grazie, tra tutti, a Paola e Anacleto, nonché al grande Enrico che mi ha sopportato, supportato e contagiato con la sua invincibile passione.

In un’epoca in cui gli italiani, da una recente ricerca, si dicono sazi di “desideri minori”, in AC ho sempre incontrato gente dai “maggiori desideri”, capace di sognare, sbagliare, affidarsi, progettare, realizzare strade nuove.

L’11 febbraio, giorno della nostra assemblea elettiva, è stato per una Pentecoste, giorno di consolazione e rivelazione, di profonda comunione e riconoscenza, per ciò che si vede e per ciò che non si vede.

Il Signore, che tutto porta a compimento, continui a rigenerare la nostra vita!

don Nicola


MI PRESENTO

Quando mi chiedono di scrivere un articolo di presentazione c’è sempre un po’ di indecisione su cosa raccontare e cosa tralasciare. Parto dalle basi: sono don Luca Conti, nato il 2 giugno 1993 e nativo della Parrocchia di Gazzaniga. Nel 2007 (prima superiore) sono entrato in Seminario dove, tra le figure di riferimento, c’era un giovane don Alberto Monaci come padre spirituale. Nel 2018 sono diventato prete insieme ad altri due compagni di viaggio: don Gabriele (curato a Redona) e don Manuel (curato a Gandino). La prima destinazione – che mi ha visto presente fino all’agosto scorso – è stata la Parrocchia di Boltiere: poi il vescovo Francesco mi ha chiesto di concludere l’esperienza da curato e continuare il mio ministero presso il Seminario Minore come educatore. Accanto a questo ruolo curo la rivista del Seminario “Alere” e la rivista “Clackson” dei chierichetti con relativa festa. Mi occupo delle “Giornate del Seminario” insieme ad altri due sacerdoti e ai ragazzi del quarto anno di Teologia, oltre a far parte dell’equipe vocazionisti (un gruppo di cinque preti che si occupano di organizzare e gestire tutte quelle iniziative vocazionali legate al Seminario, quali Seminary Cre, cene con delitto, Open Day vocazionali, accoglienza varia in seminario e ritiri). Insegno presso la scuola secondaria “Donadoni” in Città Alta e dal primo febbraio sono ufficialmente assistente di ACR, MSAC e Giovani. Sembrano tanti incarichi, ma sono più pezzetti che si legano a differenti ambiti diocesani: l’agenda è obbligatoria per evitare accavallamenti (che comunque ci sono) o sovrapposizioni.

Quando mi è stato proposto questo incarico in AC ho chiesto qualche giorno per pensarci e pregarci: ero già in “overdose” di novità, mi stavo adattando ad un nuovo stile di vita e ambiente, e il nuovo incarico non è proprio una passeggiata. Mi ha portato ad accettare con curiosità ed entusiasmo – oltre alla promessa di obbedienza fatta al Vescovo -, l’opportunità di incontrare e affiancare ragazzi e giovani di una realtà che in diverse occasioni ho incrociato, ma che mai avevo vissuto. L’Azione Cattolica l’ho incontrata a Grumello Del Monte in II teologia, successivamente nella Parrocchia di Bariano in V e VI teologia e da diacono, infine nei racconti/scambi con don Silvano Ghilardi che, per quattro anni, è stato mio padre spirituale.

In questo turbinio di novità vedo un Dio che mi sta accompagnando, guidando e edificando in terreni che mai avrei pensato di abitare: questo mi porta ad affidarmi ancor di più a Lui, conscio dei miei limiti, ma grato e consapevole che mai il Signore mi abbandona.

Don Luca