Accogliamo il Natale facendoci aiutare dalle parole del nostro assistente unitario, don Alberto. Attraverso le profezie di Isaia e il racconto del Battesimo, scopriamo la vittoria della tenerezza e la chiamata a essere casa per il Principe della pace.
“Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce. (…) Gioiscono… (…) Perché ogni calzatura di soldato che marciava rimbombando e ogni mantello intriso di sangue saranno bruciati, dati in pasto al fuoco. Perché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il potere e il suo nome sarà: Consigliere mirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace. Grande sarà il suo potere e la pace non avrà fine.” (cfr Is 9,1-7)
Anche quest’anno, nella notte di Natale, risuoneranno nella liturgia le parole di Isaia.
Forse mai come in questo tempo avvertiamo la preziosità dello sguardo del profeta e la necessità di aggrapparci alla promessa che risuona nelle sue parole.
I nostri occhi si sono sempre più riempiti di immagini di guerra, odio, distruzione, sofferenza: “calzature di soldati e mantelli intrisi di sangue” ci sono divenuti tristemente famigliari. Abbiamo per questo bisogno che i nostri cuori non cadano nel sonno della rassegnazione, ma rimangano svegli alimentando la fiamma della speranza. Ascoltiamo e riascoltiamo la pagina di Isaia sapendo che essa si colloca dentro una tensione che attraversa tutta la vita cristiana. Essa, infatti, si è già compiuta una volta per tutte, perché proprio in quella terra così bagnata di sangue un bambino è nato per noi. È Lui la nostra pace, è Lui che ha fatto la pace, è lui che ha diviso il muro di separazione fra i due popoli! (Ef 2,14) Ma allo stesso tempo, proprio a partire da questo compimento, la pagina di Isaia attende ancora di avverarsi pienamente in noi e nella nostra storia.
Nella lettera alla sua diocesi così ha scritto il Patriarca di Gerusalemme: Gesù «non dice che vincerà, ma che ha già vinto. Anche nel dramma che verrà, i discepoli potranno avere pace. Non si tratta di una pace irenica campata in aria, né di rassegnazione davanti al fatto che il mondo è malvagio e che non possiamo fare nulla per cambiarlo. Ma di avere la certezza che proprio dentro tutta questa malvagità, Gesù ha vinto. Nonostante il male che devasta il mondo, Gesù ha conseguito una vittoria, ha stabilito una nuova realtà, un nuovo ordine, che dopo la risurrezione sarà assunto dai discepoli rinati nello Spirito. È sulla croce che Gesù ha vinto. Non con le armi, non con il potere politico, non con grandi mezzi, né imponendosi. La pace di cui parla non ha nulla a che fare con la vittoria sull’altro. Ha vinto il mondo, amandolo. È vero che sulla croce inizia una nuova realtà e un nuovo ordine, quello di chi dona la vita per amore. (…) Una pace così, un amore così, richiedono un grande coraggio».
(Pierbattista Pizzaballa, Messaggio alla diocesi, 24 ottobre 2023)
Gesù ha vinto, ma noi dobbiamo entrare in questo ordine nuovo, in questa vittoria. La vittoria della tenerezza.
Mi torna spesso alla mente quella disarmante richiesta che risuona sulla bocca dei bambini: “fai pace?” “Facciamo la pace?” Sì: la pace si fa, si costruisce, si coltiva; essa come spesso ha ripetuto papa Francesco è opera di “artigiani”.
Mentre scrivo queste righe sto preparando il Battesimo di due piccoli ospiti di Casa Amoris Laetitia.
Le loro, come purtroppo quelle di moltissimi bambini nel mondo, sono storie ferite e segnate dalla fatica. Troppa, per bimbi così piccoli. Eppure, guardandoli sento risuonare la forza di quella parola: ci è stato dato un figlio. E penso che forse anche da qui inizi un mondo diverso: quando sentiamo che noi, e non altri, siamo responsabili delle loro vite e del loro futuro, quando sappiamo accogliere, ciascuno nel pezzo di terra in cui siamo e per le possibilità di cui disponiamo, i figli che sono dati proprio a noi e non ad altri. A tutti e ciascuno “è dato un figlio”: il Figlio di Dio e i suoi fratelli e sorelle più piccoli.
Ci accorgiamo così che ogni gesto di cura, tenerezza, accoglienza nei confronti di ogni piccolo, qualunque volto e storia abbia, aiuta il mondo intero a non perdere la sua umanità e a non respingere, negandola, la presenza di Dio. Sperimentiamo che, quando proviamo a vivere così, come amava dire Etty Hillesum salviamo un pezzo di Dio in noi. Scriveva durante l’orrore nazista nel suo diario: “tocca a noi aiutare te, difendere fino all’ultimo la tua casa in noi” e pensando a gente che cercava di salvare oggetti e averi ricorda ciò che unicamente conta: “dimenticano che non si può essere nelle grinfie di nessuno se si è nelle tue braccia.”
Forse sta proprio qui il senso anche di questi Battesimi, che potrebbero sembrare un gesto inutile o superfluo, ma che in realtà sono la carezza di Dio sulle loro storie attraverso le mani della Chiesa. Quella carezza di Dio che custodisce loro dalle “grinfie” del male e che regala a noi di accogliere la tenerezza di Dio.
Che ciascuno di noi, le nostre famiglie, le nostre associazioni, le nostre parrocchie, ritrovino in questo Natale la loro chiamata ad essere casa per il Figlio che ci è dato, per il Principe della pace che non smette di bussare alle nostre porte.