Continuano gli spunti di riflessione sul Sinodo della Chiesa Italiana. Proponiamo l’intervento non rivisto di Pina de Simone, membro della segreteria Nazionale del Sinodo e direttrice di “dialoghi”, il trimestrale di attualità, fede e cultura promosso dall’Azione Cattolica Italiana.
Nel cammino sinodale l’Ac è in prima linea nello stile che gli è proprio, quello dell’essere protagonista, ma senza l’obiettivo di mostrarsi per dare sfoggio di sè. Abbiamo avuto la grazia di poter vivere attraverso l’Ac questo sinodo, c’è bisogno di una presenza forte e salda. È un tempo di attesa per cui avvertiamo un ritardo della stessa Chiesa nei confronti del mondo in cui viviamo, ma anche la preoccupazione per questo ritardo. Il rischio è quello di trovare risposte semplici/semplificatrici che sembrano risolvere il problema, ma in realtà non lo fanno. C’è il rischio che il senso di questo cammino non si colga e tutto si riduca a slogan o a ricette a buon mercato. Come associazione dobbiamo avere la fierezza di questa maturità della fede e saperla mettere in circolo. Occorre giocarci fino in fondo.
Il senso del cammino sinodale delle Chiese:
Il sinodo è non su una questione specifica, ma è un sinodo sulla forma stessa della Chiesa, questa riflessione viene posta in termini dinamici. Ciò che la Chiesa è chiamata ad essere è davanti a noi, ma è anche dentro di noi, nella realtà stessa della Chiesa. La Chiesa è segno e sacramento dell’unità del Regno di Dio, è già e non è ancora, è testimonianza di una comunione viva che è affidata alla Chiesa stessa.
La Chiesa è dunque segno e strumento, perché questa comunione cresca ovunque. È segno e strumento del Regno, è tale nel riconoscimento di quelle tracce del regno di Dio che il Signore semina nel cuore degli esseri umani. perciò non può non essere dentro la storia.
Dobbiamo avere questa consapevolezza: una Chiesa sinodale significa vivere la comunione nella concretezza di un camminare insieme che non è solo l’essere insieme, ma è che all’insegna della corresponsabilità. Continuo esercizio di discernimento e ascolto ci consente di intuire quello che il Signore ci chiede in QUESTO tempo in cui il Signore si fa incontro, un tempo che dobbiamo imparare ad amare ed ascoltare. La Chiesa deve continuamente vivere questo esercizio di discernimento per poter capire quello che il Signore le chiede. Se non c’è questo camminare insieme, l’annuncio del Vangelo non è credibile. Avvertiamo che la Chiesa oggi fa fatica ad essere ascoltata, avvertiamo un’afasia o un’insignificanza, ma non è solo un problema di linguaggi, non dobbiamo rincorrere i linguaggi, l’afasia e l’insignificanza forse vengono dalla scarsa credibilità che abbiamo come comunità ecclesiale, dalla poca limpidezza dell’immagine di Chiesa che rappresentiamo.
Cosa siamo chiamati ad essere e come viviamo il nostro essere Chiesa? Quanto la forma della Chiesa è trasparente, in questo tempo nei luoghi in cui il Signore ci ha posto? La sinodalità è la forma della Chiesa, è quella che siamo chiamati a riscoprire in questo cammino sia della Chiesa universale e locale. La sinodalità non coincide con il sinodo, è qualcosa che il cammino sinodale ci aiuta a vivere: la sinodalità deve essere sempre presente nella vita della Chiesa.
Il Sinodo non è fine a se stesso è per una Chiesa sinodale, è essenziale per la vita della Chiesa. Il sinodo è in funzione della ri-forma della Chiesa. Questa è chiamata ad assumere sempre di nuovo la forma che la costituisce in maniera essenziale e propria. Non dobbiamo avere paura di essere dentro un processo di riforma della Chiesa, è un cammino in cui siamo chiamati ad essere la Chiesa bella che il Signore desidera.
Che cos’è un sinodo? Il sinodo dei vescovi nasce con Paolo VI, dopo la Lumen Gentium, per dare un seguito alla comprensione della Chiesa che il Concilio aveva espresso in maniera così limpida e chiara. Viene istituito il sinodo dei vescovi come espressione della collegialità episcopale, cosa non scontata.
Il Papa ha la responsabilità del governo nella Chiesa, ma non da solo. Il sinodo dei vescovi è espressione di questa collegialità episcopale. Il Papa viene sostenuto dai vescovi che insieme con lui vivono questo esercizio del discernimento, poi però è il Papa che deve decidere. Da questo derivano le esortazioni post sinodali.
Con papa Francesco c’è stata una piccola rivoluzione, già con i due sinodi sulla famiglia: i sinodi vengono preceduti da una consultazione del Popolo di Dio. Così in Amoris Laetitia vengono citati i documenti preparatori, le relazioni finali dei sinodi, ma anche i documenti delle chiese. Il discernimento non viene fatto dunque solo dal papa, ma da tutto il popolo di Dio. La Chiesa universale si comprende come comunione delle chiese particolari. C’è un rapporto tra chiese locali e chiese particolari che viene riaffermato. Non c’è la chiesa di Roma che propone e le chiese locali che eseguono: adesso è un rapporto circolare. Questa particolarità non è di ostacolo alla dimensione universale della Chiesa. E’ una unità tessuta continuamente nell’azione dello Spirito, nella piena valorizzazione di ciò che è particolare. Queste erano le linee già del concilio, riprese da Papa Francesco.
La consultazione del popolo di Dio è già sinodo. “Il popolo di Dio è convocato in Sinodo”. Se il sinodo è un momento di discernimento questo deve essere vissuto da tutto il popolo di Dio. Ancora si parla di fase preparatoria/consultiva/deliberativa, però piano piano questa distinzione è venuta meno. È tutto il popolo di Dio convocato, non c’è una fase preliminare: siamo già nel sinodo, questo a partire dal Sensus fidei del popolo di Dio. Occorre che questo sensus fidei si esprima nell’emergere di un consenso. Consenso che viene definito come conspiratio. Sentire con la Chiesa, che ci vede insieme non nell’azzeramento delle diversità, ma anzi nella loro valorizzazione. Anche il noi ecclesiale è il noi della Chiesa, di cui siamo pienamente parte. Come si costruisce questo consentire? Occorre che ci sia un cammino e un’esperienza di ascolto vissuta insieme.
Per questo si afferma e si sperimenta il metodo della conversazione spirituale che ci invita a mettere sempre al centro l’esperienza e partendo da lì ci avviciniamo alla proposta dei cantieri di Betania per la fase che attraverserà quest’anno di cammino sinodale. Dobbiamo cercare di capire ciò che viene proposto, ma anche capirne la risonanza interiore. Quali difficoltà lascia affiorare. Un metodo che è duttile, dà alcuni criteri guida e poi può essere adattato a diversi contesti.
Sullo sfondo c’è il continuo riferimento all’esperienza, il luogo dove il Signore si fa incontrare. Metodo che ci aiuta a riflettere sull’esperienza e uscire dalle secche di una lamentazione ad oltranza, pensando che tanto non cambia nulla, guardando non a ciò che è stato ma a ciò che manca.
Il sinodo universale dovrebbe culminare nell’assemblea sinodale dei vescovi nell’ottobre 2023, ed ha avuto una fase diocesana è che è stata vissuta in tutto il mondo. Le chiese locali di tutto il mondo sono state coinvolte. A livello nazionale quindi si raccoglierà tutto quanto emerge da queste fasi diocesane
Come Chiesa italiana ci si è inseriti nel cammino della chiesa universale, ma all’interno di un percorso che è stato pensato per 5 anni, sino al 2025. Questi 5 anni hanno tre fasi: narrativa, sapienziale, profetica. Tutto questo percorso dovrebbe produrre gli orientamenti pastorali che emergono dal cammino sinodale.
Questo non rimarrà dunque un evento, ma determinerà degli orientamenti. Prima fase: narrativa, due anni di ascolto. Il secondo anno comincia ora, la proposta dei cantieri di Betania serve a realizzare questa seconda fase e quindi dare una continuità all’ascolto, una continuità che permetta di andare avanti nell’ascolto. Questi cantieri sono relativi alla ri-forma della chiesa. I cantieri nascono da un’esigenza di riforma, ci devono essere dei passi, il cantiere ritiene che ci siano delle persone che ci lavorano, anche con competenze diverse
Un cantiere deve essere aperto alla discontinuità perché i progetti del Signore non sono necessariamente i nostri progetti. Qui l’edificio da ricostruire è la riforma della Chiesa che è chiesta oggi, che non possiamo ignorare, ha tempi lunghi, ma bisogna chiederci se la Chiesa è quella che vuole il Signore. Se la Chiesa non si rinnova rischia di essere una realtà umana, che vive come un sistema di potere, in questo senso anche i laici talvolta sono clericali e narcisisti. La riforma che lo Spirito ci chiede non è quella del potere o del dominio o dell’arroganza, ma quello dell’apertura, dell’accoglienza, dell’incontro vero.
La Chiesa è per tutti e con tutti, tutti devono poter dire cosa sognano dalla Chiesa. La parola deve essere nutrita dall’ascolto delle persone. Il Vangelo è carico di quelle voci. Dobbiamo essere Chiesa secondo il cuore di Cristo. Ed è la capacità di stare dentro la storia. Quando c’è qualcosa di nuovo da costruire abbiamo bisogno di sensibilità, sguardi diversi, tutti questi cantieri devono avere una capacità di apertura.
Nel primo cantiere, incontriamo le persone dei vari ambiti di vita, con un interrogativo di fondo, generativo: come possiamo starti accanto? Se è così dobbiamo essere attenti ad evitare che i cantieri banalizzino le priorità. Il tema delle relazioni, dell’ascolto, dell’accoglienza e dell’incontro sono temi importanti, ma non dobbiamo dimenticare cosa c’è prima di questo. Accanto all’esperienza ci deve essere una sapienza di fede teologica e culturale, queste dimensioni ci vogliono. Non è un semplice invito bonario all’esterno, ci deve essere una consapevolezza nuova di quello che siamo chiamati ad essere. Dobbiamo tenere insieme la concretezza e la teoria, dobbiamo smantellare i sistemi rigidi di potere.
Occorre fare sentire la gioia di essere ascoltati, avere il coraggio di fare incontrare le persone, l’ascolto ci trasforma, genera qualcosa di nuovo. Il cantiere deve essere uno spazio di formazione. Facciamo attenzione a non tenere separati il pensiero e l’esperienza.