Questa situazione ci ha di nuovo introdotti in un tempo segnato dall’incertezza, dalla provvisorietà e dallo smarrimento, in modo del tutto improvviso. Sembra di rivivere lo stesso smarrimento avuto due anni fa quando, sempre all’inizio della quaresima, ci siamo trovati costretti a vivere chiusi nelle nostre case, isolati e in una situazione mai vissuta prima. Speravamo che tutto fosse ormai finito, ma il buio e il male si rende presente nella forma di questa guerra che non riusciamo a capire e che ci lascia molto preoccupati per il suo proseguo.
Le reazioni che stiamo avendo sono simili a quelle di due anni fa: una grande solidarietà iniziale con gesti di vicinanza e di aiuto alla popolazione aggredita e sdegno e protesta contro l’aggressore. Questi fatti così terribili ci mettono di fronte alla nostra umanità, alla nostra capacità di sentirci sempre coinvolti nel dolore e nel male che compare improvvisamente nella vita di ciascuno. Mi colpisce in ugual modo che pochi parlino invece di pace: sembra che in questo momento di fronte alla guerra e alle armi si debba rispondere con la stessa forza, inviando armi: sembra che la storia non ci abbia insegnato nulla!
Papa Francesco ha invece richiamato fin dall’inizio del conflitto tutti i cristiani a gesti semplici, aperti al dialogo e a cercare soluzioni diverse al conflitto. Gesti che richiamano in primo luogo a essere uomini e donne di pace attraverso la preghiera e il digiuno. Una preghiera fatta insieme che ha visto la nostra comunità bergamasca unirsi tra le diverse associazioni e gruppi presenti nella nostra diocesi: abbiamo bisogno di sentirci più uniti, abbiamo bisogno di dire insieme ad alta voce che la guerra non la vogliamo! Nè per noi né per chiunque altro. Occorre tornare a dircelo e continuare a mettere in atto gesti di pace nella quotidianità delle nostre vite. E oggi dire la pace significa non rimanere indifferenti e non tacere. In questo modo si potrà educare alla Pace, educarci all’ascolto gli uni degli altri, affidare nella preghiera le popolazioni colpite dalla guerra, accoglierle con gesti concreti che diano loro il calore della vicinanza di una comunità e convertire i nostri cuori. Ecco perché questo numero di “lavoriamo insieme” che abbiamo pensato prima di tutti questi eventi non è così lontano da questo desiderio di pace che torna a essere presente in ognuno di noi!
Il processo sinodale iniziato in tutta la Chiesa ci chiama a ritornare a imparare le regole dell’ascolto e del dialogo anche all’interno delle nostre comunità cristiane, a vivere segni concreti di fraternità. Il periodo della Pasqua verso cui siamo diretti è un periodo che ci chiama a interrogarci sull’evento che segna la nostra fede: quell’innocente morto ingiustamente in croce e divenuto poi da risorto portatore di Pace. Il cammino “ricuciamo la pace” del mese della pace dell’ACR ci porta a mettere in luce come per la nostra associazione l’impegno per l’educazione alla pace sia importante e debba essere sempre più messo in primo piano e portato coraggiosamente avanti da tutti. Così come l’impegno dei nostri studenti e giovani sia sempre più diretto a vivere come portatori di pace negli ambienti della vita, a porre attenzione a tutti coloro che ci stanno attorno, per creare ponti e alleanze. Così come i testimoni che hanno segnato la nostra storia associativa: don A. Seghezzi e la futura beata Armida Barelli, che hanno vissuto in prima persona questo continuo impegno a non chiudersi nei propri recinti e sicurezze, ma si sono aperti verso gli altri con fiducia e speranza. La pace non è un’utopia, un’idea irraggiungibile, ma è scelta concreta delle nostre azioni quotidiane! Il vivere insieme, uscire dai nostri piccoli perimetri per andare verso gli altri è l’augurio che ci possiamo fare per vivere da fratelli questa Pasqua che attendiamo trepidanti con la speranza che questa guerra finisca presto.