Nella stessa celebrazione verrà beatificato anche il venerabile Mario Ciceri, sacerdote della diocesi ambrosiana. La vita di Armida Barelli è stata un interrotto cammino: un cammino interiore lungo e affascinante che le ha permesso di raggiungere migliaia di persone, soprattutto giovani, per portare a tutti l’annuncio del Regno. Un cammino mai solitario, ma condiviso, da “sorella maggiore”, che rimane per noi testimonianza di un tratto importante della storia del movimento cattolico italiano. Ne ripercorriamo i tratti principali della sua storia.
a cura dell’AC ambrosiana
Nata da una famiglia borghese, studia in un collegio svizzero. Tornata a Milano, si dedica ai ragazzi abbandonati e poveri, collaborando con Rita Tonoli, che fonderà poi un istituto dedito all’assistenza di tali ragazzi e che la mette in contatto con p. Agostino Gemelli, appena convertito. L’incontro con il frate segna per lei l’inizio di una collaborazione che durerà tutta la vita: Azione Cattolica, Istituto Secolare Missionarie della Regalità, Università Cattolica del Sacro Cuore, Opera della Regalità di Nostro Signore Gesù Cristo.
Nel 1918 fonda la Gioventù Femminile cattolica milanese, chiamata a tale incarico dal card. Ferrari che, dinanzi alla propaganda marxista, vede l’urgenza di una formazione delle giovani, per testimoniare con la vita il battesimo ricevuto. La Barelli si sente inadeguata per tale compito, ma dinanzi all’urgenza che le viene fatta notare, accetta. Diventa la Sorella maggiore di un gruppo di giovani che dalle parrocchie milanesi si ritrovano in vescovado ad approfondire problemi teologici e sociali per controbattere la propaganda marxista.
L’esperienza positiva di Milano spinge il papa Benedetto XV ad affidarle lo stesso compito per tutte le diocesi italiane. Ancora una volta, la Barelli vorrebbe non accettare l’incarico, ma alle sue resistenze e al desiderio di partire come missionaria, il Papa risponde: «La sua missione è l’Italia», e la invia «non come maestra tra allieve, ma come sorella tra sorelle», perché le giovani prendano coscienza del loro essere cristiane e riscoprano la loro dignità di donne.
Siamo nel 1918, e la Barelli inizia il suo primo giro lungo la penisola per chiamare a raccolta le giovani, che rispondono con entusiasmo. Propone loro un cammino esigente e difficile: andare contro corrente, grazie all’impegno personale della formazione e alla vita di gruppo, avendo come fondamento un trinomio: eucaristia, apostolato, eroismo, che segnerà la vita di tante giovani donne.
Il 9 Novembre 1919 ci sarà il I Congresso della Gioventù Femminile Bergamasca con l’intervento proprio di Armida Barelli, divenuta presidente nazionale.
Nel 1919, insieme a padre Gemelli, fonda l’Istituto Secolare delle Missionarie della Regalità di Cristo e con lui anche l’Opera della Regalità di Nostro Signore Gesù Cristo per la diffusione della liturgia. Fonda case di spiritualità nei più importanti luoghi francescani e promuove una vasta opera di formazione spirituale e di discernimento vocazionale.
Nel 1921 fa parte del gruppo dei fondatori dell’Università cattolica del Sacro Cuore, fermamente convinta di intitolarla al Sacro Cuore e ne diventa indispensabile “cassiera”. Accompagna con straordinaria efficacia tutte le fasi di sviluppo dell’Ateneo per i primi trent’anni contribuendo, soprattutto con l’annuale Giornata per l’Università Cattolica a mobilitare i cattolici italiani.
Organizza convegni, pellegrinaggi, settimane della purezza, settimane sociali e attività per le missioni.
Partecipa ai congressi internazionali della GF ed è sempre aperta ad accogliere quanto di nuovo può venire dalle esperienze di altri paesi e può essere trasferito nella realtà italiana, segnata dal regime fascista che lei considera incompatibile con la formazione della GF. Al crollo del regime, continua un’opera preziosa per l’inserimento nella vita politica delle donne chiamate a votare per la prima volta.
La sua apertura al mondo che la circonda, oggi diremmo ai segni dei tempi, è straordinaria, perché nasce dalla sua vita mistica che le fa cogliere le grandi potenzialità della fede e della missione della Chiesa. Fu determinante e concreto il sostegno della GF per l’Istituto Benedetto XV in Cina, da cui nacque una congregazione religiosa femminile cinese, attualmente operante.
La sua spiritualità, fondamentalmente francescana, si arricchisce di altri tipi di spiritualità presenti nell’AC che, come tale, si nutre della spiritualità battesimale comune a tutti i fedeli. Questo spiega come nella GF siano nate vocazioni religiose di diverso tipo e il matrimonio sia stato vissuto come una autentica vocazione. Dalla radicalità evangelica battesimale vengono le tante testimoni di santità della GF (alcune già riconosciute ufficialmente come tali dalla Chiesa): giovani donne che hanno seguito eroicamente Cristo sulle strade del mondo.
Nel 1946, Armida viene nominata vice presidente generale dell’Azione Cattolica da Pio XII. Nel 1949, si ammala di paralisi bulbare, che la porterà alla morte. Scrive: “Accetto la morte, quella qualsiasi che il Signore vorrà, in piena adesione al volere divino”.
È sepolta dal 1953 nella cripta della cappella dell’Università Cattolica del Sacro Cuore a Milano.
“Chiedere e nulla rifiutare», ripeteva fra sé la Barelli, salendo velata di nero, gli scaloni del Vaticano. […] Erano le 11.30 quando fu introdotta nello studio del pontefice. Signorilmente, Benedetto XV le andò incontro, con un sorriso nel pallido volto asimmetrico: «Dunque lei è qui per essere investita dei sommi poteri?». «No santità sono venuta per dirle che non sono capace, non sono degna, non posso, non posso …». Ida parlava agitatissima, con il cuore in gola. Il Papa l’invitò a sedere accanto a sé e, pacatamente, prendendo il tono di un direttore spirituale, le domandò: «L’ha voluta lei questa carica?». «No, per carità! Non solo non l’ho voluta, ma non la voglio!». La parola le parve irriverente; corresse: «Non la posso accettare!». Benedetto XV che, come tutti i Papi, era abituato a sentire proteste d’umiltà, d’incapacità, d’indegnità da chi veniva chiamato ad un alto ufficio, sapeva in quale conto tenerle, ma questa della Barelli gli parve tanto sincera che ne rimase scosso. Per calmare la signorina, virò il discorso ad un punto di partenza che doveva interessarla. «Mi dica com’è sorta la Gioventù Femminile a Milano». Ida prima timidamente, poi con forza, raccontò gli inizi, gli sviluppi ripidi, le imprese coraggiose dell’Associazione; parlò del cardinale che l’aveva voluta, dei sacerdoti che l’assistevano, di don Olgiati, di padre Gemelli; questi nomi introdussero nel suo discorso l’Opera del Sacro Cuore che sopravviveva, l’Università Cattolica, che forse forse spuntava. Insisté sull’una e sull’altra per dimostrare al Papa che aveva già tanti impegni così pesanti, da non poterne assumere di nuovi. Sbagliò tattica. Quanto più parlava, tanto più il suo visino si accendeva nell’ombra fluttuante del velo e la sua intelligenza sfavillava dagli occhi, oltre che dai giudizi assennatissimi. La conclusione del Santo Padre fu opposta a quella che Ida si aspettava: «Lei continui il suo lavoro. Invece di andare a fondare la Gioventù Femminile nei paesi della sua diocesi, andrà a fondarla nei capoluoghi diocesani, ecco tutto». «Oh, Santità, è ben diversa la cosa! Altro è andare a fondare un’associazione in un paese, bene accolta e aiutata dal parroco e tornare poi a casa la sera, altro è girare l’Italia. Non ho mai viaggiato sola, non ho mai lasciato la mamma. Non ho mai parlato in pubblico. Come presentarmi ai Vescovi, organizzare la Gioventù Femminile nelle grandi città? No, no, non sono capace, non posso, non posso! Meglio una laureata come la Rimoldi, un insegnante come … ». «No – la interruppe il Papa -, voglio proprio lei. Non la mando come maestra tra scolare, la mando come sorella tra sorelle». «Impossibile, Santo Padre!» A quel rifiuto deciso, il volto paterno di Benedetto XV s’irrigidì come quello del cardinal Ferrari al primo «no» della Barelli. Ma le parole del Pontefice non furono amare, bensì accorate e perciò commoventi: «Ma su chi deve contare la Chiesa, se non può contare sui figli suoi?». […] S’inginocchiò davanti al Papa, piangendo convulsa. Benedetto XV posò lievemente la mano scarna sul suo capo: «Obbedisca, figliuola, Dio l’aiuterà, glielo promettiamo». (M. Sticco, Una donna fra due secoli)